Il fenomeno dell'apirenia nell'uva consiste nella produzione di acini senza semi.
La conoscenza dell'apirenia (dal greco senza semi) nell'uva si perde nei meandri della storia. Lo dimostra una fitta produzione di ceramica e di monete magno-greche riportanti l'effige di grappoli che, per la loro forma, riconducono a uve apirene tipo Corinto o Sultanina (Foto n°1).
Tradizionalmente, l'uva senza semi è stata sempre destinata all'essiccazione per la produzione di uva passa nota anche come uva sultanina. Negli ultimi anni le uve apirene stanno assumendo una importanza commerciale rilevante anche per il consumo fresco accanto alle tradizionali uve con semi. In alcuni Paesi la richiesta di uve apirene ha superato quella delle uve con seme. Si può affermare che questa gradevole proprietà naturale dell'uva da tavola, stia modificando radicalmente i gusti dei consumatori.
L'apirenia è apprezzata per motivi diversi: la facilità con cui i bambini possono mangiare l'uva, l'eliminazione dell'mbarazzo nell'espellere dalla bocca i semi, la semplicità nella preparazione di dolci e di composte di frutta, la comodità nella preparazione di frutta destinata alla quarta gamma.
Per motivi sostanzialmente analoghi la caratteristica dell'apirenia è molto gradita anche in altri frutti quali clementine, angurie, kaki, ecc..
L'apirenia è il fenomeno naturale che porta alla formazione di acini che si presentano senza semi e, conseguentemente, di dimensioni ridotte rispetto agli acini con seme; queste uve sono conosciute commercialmente come uve apirene, uve senza semi, seedless grape, uvas sin semillas.
Dal punto di vista botanico si distinguono due forme di apirenia:
Stenospermocarpia (frutto con semi rudimentali) definita di tipo Sultanina;
Partenocarpia (frutto senza semi) definita di tipo Corinto.
Tutte le uve apirene attualmente commercializzate per il consumo fresco, appartengono al gruppo delle stenospermocarpiche; le loro bacche in sezione presentano, in forma variabile, rudimenti di vinaccioli abortiti.
Relativamente alla presenza dei semi (tecnicamente vinaccioli), nella vite si possono distinguere tre tipologie di bacche aventi caratteristiche differenti (foto n. 2).
Uve con semi - In queste uve il processo fisiologico prevede l'impollinazione del fiore e la successiva fecondazione, due eventi biologici fondamentali per l'allegagione e la formazione di acini con uno o più semi.
Uve stenospermocarpiche (definite di tipo Sultanina) - In queste uve il processo fisiologico prevede l'impollinazione del fiore, la fecondazione e il successivo aborto del seme. L'acino formato arresta precocemente lo sviluppo e la bacca rimane di dimensioni ridotte. Il breve periodo di sopravvivenza del piccolo seme in fase di crescita è sufficiente tuttavia a fare allegare la bacca e a produrre ormoni stimolatori della crescita (citochinine, gibberelline). Con la morte dell'embrione cessa anche l'azione degli ormoni e per questo motivo la bacca assume uno sviluppo limitato. I semi (vinaccioli) abortiti si atrofizzano e rimangono soltanto piccoli rudimenti di consistenza variabile da erbacea a semilegnosa.
A questo gruppo appartengono le varietà apirene commercializzate: Early Red, Early Gold, Regal, Sugraone, Perlon, Centennial, Thompson, Crimson, ecc. (foto n.4). In ogni caso le uve apirene commercializzate non presentano una apirenia perfetta pertanto si dovrebbero definire "uve con seme non percettibile".
Questo aspetto è evidente anche in altri frutti, ad esempio nelle nuove varietà di angurie "seedless" sono presenti i semi atrofizzati che appaiono di colore biancastro.
Gli acini delle uve apirene sono naturalmente di dimensioni ridotte rispetto a quelli con i semi (foto n.5).
E' possibile ottenere anche nelle apirene acini di dimensioni maggiori soltanto ricorrendo all'applicazione di ormoni (ad esempio gibberelline), che inducono lo stesso stimolo alla crescita determinato dagli ormoni naturalmente prodotti dal seme. Anche la tecnica agronomica dell'incisione anulare ha un'azione simile, incrementando la disponibilità di zuccheri e di ormoni che favoriscono la crescita delle bacche (foto n. 6).
Questo obbliga il viticoltore a stimolare la pianta con applicazioni di fitormoni di sintesi, di concimi e di tecniche colturali particolari, al fine di ottenere acini grandi. Le forzature per l'aumento delle dimensioni degli acini, non soltanto fanno lievitare i costi di produzione ma comportano la perdita di parte delle caratteristiche che definiscono la varietà (sapori, aromi, sfumature di colore, shel-life) privando il prodotto d'identità e conferendo ad esso caratteristiche organolettiche non equilibrate come ad esempio un gusto erbaceo (foto n. 7). In tal modo al consumatore non viene proposto un prodotto naturale, dotato di caratteristiche organolettiche peculiari e, molto spesso, eccellenti.
Prove di commercializzazione dimostrano invece che una volta che il consumatore abbia apprezzato un'uva per le sue qualità organolettiche (sapore, aroma, consistenza, ecc) e per la "naturalità" del processo produttivo, perde completamente di importanza l'esigenze di avere bacche grosse.
E' bene ribadire che l'apirenia nell'uva da tavola è un carattere naturale. Obiettivo del miglioramento genetico dell'uva deve essere quindi, quello di valorizzare ciò che la natura già racchiude e non quello di ottenere, ad ogni costo, apirene con acini di grandi dimensioni, anche ricorrendo a manipolazioni genetiche.
E' auspicabile che la promozione delle uve apirene valorizzi la "naturalità" e l'ampia gamma di caratteristiche organolettiche delle uve ricordando che quel rudimento di seme erbaceo ingerito racchiude una piccola "goccia" di sostanze (es. polifenoli) benefiche per il nostro organismo.
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